biblioteca civica di cologno monzese

Cari lettori, parliamone...

Luca Ferrieri, sistema bibliotecario nordest milano

 

Cari lettori, cari bibliotecari, cari graditissimi ospiti,

con questa iniziativa abbiamo aperto un tavolo di discussione che chiama in causa i protagonisti, a diverso titolo, della "scena della lettura", di quel piccolo grande evento che si celebra dietro le quinte di una pagina aperta quando l'occhio di un lettore la scorre. Siamo consapevoli che il tema è arduo, gli interlocutori sono diversi e tutti, per svariate ragioni, recalcitranti; che il nemico, ammesso che ce ne sia ancora uno, naturalmente ci ascolta e la stampa un po' meno (perché alla sua cronica disattenzione verso tutto ciò che "non fa notizia" aggiunge una coda di paglia di ragguardevoli dimensioni). Siamo consapevoli di tutto ciò e abbiamo in orrore e anche in uggia le semplificazioni, che sono sempre in agguato e che rischiano di far precipitare il buon senso in luogo comune; o viceversa, il luogo comune, un luogo dove tutti ci incontriamo, in semplice buon senso, ossia in breviario della norma e della normalità.

Eppure la constatazione da cui partiamo è semplice e per una volta intendiamo offrirvela così, nella sua temeraria nudità sintattica: i lettori esistono. Certo, sono una minoranza, non fanno tremare le borse, e nemmeno i parlamenti, perché fanno molto di più: hanno cambiato il mondo e lo cambieranno ancora. Solo che l'hanno fatto silenziosamente, senza proclami, e forse senza volerlo.

Questo verbo che ci è così caro, leggere, si attaglia e si attanaglia alle realtà più diverse, dal codice semiotico a quello desossiribonucleico, dagli atomi ai bit, dalla corsa di un elettrone al gesto di una mano, dalle tracce di un animale sulla sabbia alle stelle del cielo: questo verbo è il più performativo di tutti i verbi, ossia dicendo fa, leggendo dice. Nel tema di questo convegno è dunque implicito un appello all'elementarità, una sorta di ritorno (che è un ritorno al futuro, al plasma che ci attende) agli elementi primi, alla fisicità dell'esperienza, di quell'esperienza particolarmente ricca e per molti versi ancora misteriosa, che è la lettura. Vi è perfino un invito all'azione, ad un'azione bisognosa di teoria, a quell'azione che si fa leggendo. Ancora una volta, non un appello alla semplificazione ma a quella semplicità che è difficile a farsi.


Due anni fa fece scalpore un'inchiesta sui non lettori condotta dall'Astra per conto dell'associazione dei piccoli editori, significativamente intitolata Orgogliosi di non leggere. Noi non intendiamo, con i riflessi lenti che contraddistinguono i nostri movimenti sotterranei (ben letto, vecchia talpa!), rispondere a quell'inchiesta, che fu meritevole e ricca di spunti assai interessanti, né ai suoi interpreti. Tuttavia non possiamo negare che un piccolo scatto di orgoglio circolerà in alcuni degli interventi di questo convegno, ne rappresenta forse una delle anime (che sono tante, come si vedrà), ed è l'orgoglio un po' stupito di chi dopo un bel capitombolo si tasta le ossa e realizza di essere ancora vivo. Sommessamente vorremmo anche dire che di sforzi per convincere i non lettori, per redimerli o per reprimerli

(la differenza talvolta è sottile), ne abbiamo fatti e visti tanti, forse troppi; e che, senza nulla togliere al merito delle battaglie per allargare il cerchio, per attrarre nuovi adepti, per trascinare gli scettici, sentiamo il bisogno prima di tutto di riaffermare la nostra esistenza di lettori, ad onta di tutte le sentenze di morte annunciata e presunta. Tale orgoglio, diciamo anche, non è poi molto orgoglioso. Non abbiamo fatto poi tanto per meritarcelo, questo stato di grazia. E continueremo a considerarlo un privilegio – e dunque a provare sofferenza per chi ne è escluso – proprio perché ci procura meraviglia e felicità, e ciò non è (ancora) da tutti. Si tratta dunque di un orgoglio che non conosce il disprezzo per il suo opposto. Il rispetto per il non lettore, per chi ha fatto altre scelte, per chi ha scelto altri piaceri, e ne ha tutti i diritti e forse anche tutte le ragioni, è iscritto nel codice genetico del lettore a cui noi pensiamo e a cui ci rivolgiamo. Tra l'altro continuiamo a sospettare che questa strada, quella che contemporaneamente pone il tema della differenza e della parità, che sottolinea insieme l'orgoglio di leggere e il rispetto verso chi non legge, rappresenti anche la strategia più efficace per propagare la passione di lettura, per far comunicare i due mondi, se vogliamo tenerci egualmente lontani dal vittimismo scolastico e dalle seduzioni occasionali delle sirene editoriali. Leggete dunque tra le righe gli interventi di questo convegno anche come un bilancio parziale delle esperienze, ormai numerose e ricche in campo bibliotecario, di promozione della lettura: e se la nostra lingua così bella non ha trovato che una parola così brutta per questo concetto, se non ha saputo parlare, come i francesi, di "furore di leggere" o, come gli spagnoli, di "fomento della lettura", insomma se ha voluto passare sotto silenzio la componente cospiratoria e iconoclasta della lettura, una ragione ci sarà che non sarà solo linguistica, ma che rappresenterà evidentemente l'involucro linguistico di un nodo concettuale irrisolto.

L'arco dei temi toccati, o spesso solo sfiorati, in questo convegno, congiunge idealmente la Lettera di un lettore felice di Nuria Amat (che è poi un testo molto dolente) con la lettura polimorfa di cui ci parlerà Jean Claude Passeron nel suo intervento. Si tratta di una polarità critica, di una tensione dialogica che pensiamo possa accendere una scintilla illuminante. Infatti l'autoconsapevolezza dei lettori, la loro crescita critica, la rivendicazione dei diritti (di cui dirà Marino Sinibaldi), non vanno intese come una forma di narcisismo e di solipsismo, come un leggersi addosso, ma come la premessa indispensabile per parlare all'assente, per affrontare anche il tema, caro a Passeron, dell'illettrisme, della privazione di competenza ed esperienza cui masse sempre più larghe di persone sono esposte, ad onta dei conclamati successi nella lotta contro l'analfabetismo.

Tra questi due poli si colloca un tema che avrà larga cittadinanza in questo convegno, ossia quello della lettura al tempo dell'esilio, ivi rubricando sia un'esperienza dolorosamente reale, ossia la particolare forma di repressione che la guerra e la persecuzione razziale esercitano sui lettori, sia una suggestione metaforica, ossia la condizione nomade in cui sempre più ci accade di leggere. Desacralizzandosi, la lettura corre per le strade, si fa meticcia, ritaglia i propri tempi e i propri interstizi, ricorre ad ogni espediente pur di sopravvivere. Essendo rotta ad ogni contaminazione, essa ha in particolare orrore il fantasma della purezza, di qualsivoglia natura. I lettori sono i primi ad aver imparato che "i frutti puri impazziscono". Non stupisce dunque che la più recente e vicina manifestazione di violenza interetnica, nella ex-Jugoslavia, abbia posto i lettori, e non solo quelli bosniaci, a dura prova: la guerra che lì si è consumata nell'indifferenza di molti è una ferita non rimarginata che ha attraversato le righe del libro che stavamo leggendo, in ogni punto del mondo, e ora ci impedisce di chiuderlo. Ascolteremo in proposito la testimonianza di Pedrag Matvejevic. Abbiamo poi chiesto a un lettore in esilio, Milenko Prstojevic, che è anche un regista bosniaco, e che ha vissuto due anni in Italia, a Cologno Monzese, di raccontarci con le immagini come la lettura si è scavata una trincea sotto le granate e di come riprenda faticosamente a vivere a Sarajevo. La scarsità di libri sospinge il lettore sotto la soglia di sopravvivenza: ciò si vede esemplarmente in tutti quei casi in cui la scarsità precipita (per ragioni ideologiche, per ragioni religiose, per ragioni di diseguale distribuzione delle risorse) in unicità. Il feticcio del Libro Unico è uno dei grandi nemici della lettura. Anche di questo ci parlano, tra le righe, vicende tragiche e tragicamente rimosse come quelle dell'Algeria o della "condanna" di Salman Rushdie (eventi di differente natura e di diverso peso specifico ma che hanno una comune matrice bibliolatrica e insieme biblioclastica: se è già scritto nel Libro, distruggete tutti gli altri libri secondo il sillogismo che una tradizione probabilmente etnocentrica attribuisce al califfo Omar, ma che potrebbe essere adattata ai califfi di qualsivoglia risma).

Abbiamo posto la partizione delle nostre due giornate sotto il segno degli stati della materia e dei sensi della lettura. Al di là delle forzature dello schematismo, abbiamo voluto richiamare l'elementarità materica e la varietà di stati e di forme sotto cui si manifesta e forse si nasconde la lettura. Insomma, un'universalità primordiale, quasi un fondo naturale della civiltà, da cui sbocciano infinite varianti. Uno dei temi con cui questo convegno farà direttamente o indirettamente i conti è proprio la natura particolare di quella particolarissima comunità che è la comunità dei lettori. Che hanno in comune un lettore di King e uno di Proust? Un bibliofilo e un lettore ipertestuale? Un compulsatore di enciclopedie e un sognatore a libri aperti? Un turista per caso e un lettore da scompartimento? Incontrandosi non troverebbero un monosillabo comune, ma allontandosi ognuno per la sua strada, sarebbero presto traditi da un gesto, un tic, una miopia progressiva, una commozione sotto palpebra, una crisi di astinenza. Sotto braccio, invisibile, c'è quel libro di piccolo formato. Non ammetteranno mai di essersi riconosciuti. Ipocriti lettori, miei simili, miei fratelli! La comunità dei lettori è una comunità dei senza comunità, di coloro che non ne hanno mai avuta una o le hanno rinnegate tutte; è una comunità inconsapevole, inconfessata e inconfessabile. Non scatena nessun riflesso di appartenenza, anzi ne diffida; è riluttante verso ogni organizzazione, ma vi ricorre nel momento del bisogno. La felice contraddizione del lettore è che preferisce la degustazione privata e appartata ma per esistere ha bisogno degli altri, e degli altri lettori in modo particolare. La sua sopravvivenza è legata a un tessuto comunicativo, oltre che all'approvvigionamento, alla crescita di saperi tecnici e critici. L'ultimo uomo sulla terra non potrebbe più leggere. Il cosiddetto tam-tam dei lettori, che alle volte decreta il successo e l'insuccesso di un libro, e che ha ottenuto ormai attenzione e rispetto anche da parte dell'industria editoriale, esprime questo stato di cose. Ciò che in modo impalpabile avvince la comunità dei lettori è, tautologicamente, l'esercizio, che potremmo definire morale se anche quest'aggettivo non pesasse rovinosamente sui nostri leggii, della lettura, come arte dell'attesa e del rimando, della memoria e dell'oblio, del gioco e della serietà. Questo hanno in comune un lettore di King e uno di Proust, e non è poco.

Ecco dunque gli stati di aggregazione attraverso cui abbiamo scomposto la galassia dei lettori. Siamo partiti dallo stato solido, dalle tracce che il lettore lascia intorno a sé e sui libri (Piero Innocenti) e dalla corporeità significante di cui l'atto di leggere è impregnato (Anna Maria Crispino). Abbiamo scelto per il pomeriggio di oggi lo stato liquido ad indicare le fluttuazioni, le nascite e le rinascite che avvengono in quei delicatissimi acquari che sono le biblioteche. Se il meccanismo dei vasi comunicanti si rompe, se le biblioteche vengono distrutte, come è accaduto alla biblioteca nazionale universitaria di Sarajevo, se il liquido amniotico viene disperso, avremo condannato la comunità dei lettori ad un'agonia senza fine.

Sabato mattina seguiremo, attraverso i segnali di fumo che lettori ed operatori del libro e dell'editoria si scambiano, il processo di distillazione che fa salire i gas prodotti dalle macerazioni di lettura su per gli alambicchi della fabbrica del libro. E qui tenteremo di separare anche le immissioni inquinanti, di purificare l'aria. Ci aiuterà anche un singolare esperimento, che abbiamo condotto in corpore vivo ( e non vili!) su un campione di oltre duecento lettori per verificare l'esistenza e l'efficacia dell'"effetto d'autore", ossia quel particolare fenomeno per cui quando ci dicono che un testo è di Calvino e non di Pinco Pallino le nostre papille letterarie si preparano ad una certa degustazione e questa reazione salivare di attesa ("l'acquolina del lettore") può produrre risultati inaspettanti e in alcuni casi assolutamente fuorvianti. Per la giornata del sabato pomeriggio ci mancava uno stato fisico corrispondente: ci è venuta in aiuto la fisica più recente con la scoperta dello stato di plasma, ossia di quella aggregazione della materia sottoposta ad altissime temperature e scariche elettriche (la più diffusa nelle stelle). Questa ambientazione al calor bianco, questo stato fusionale e confusionale, questo gioco di luce, ci è parso il segno adatto sotto cui collocare la mutazione dei lettori, il rapporto con le nuove tecnologie.

I lettori esistono e a volte ritornano. Siamo abituati a considerare i processi di infiltrazione delle tecnologie telematiche e informatiche nelle pratiche di lettura come un'azione di rimodellamento e di condizionamento che queste esercitano nei confronti del lettore. Ciò è senz'altro vero, ma proviamo, anche per sola ginnastica mentale, a percorrere il cammino inverso ed a verificare come i lettori stiano cambiando i computer. Ci accorgeremo di come l'Internet, nata come macchina militare, stia evolvendo nella forma di libro aperto; di come i programmi di videoscrittura, facendo violenza alla logica intrinseca del computer, stiano rivolgendo tutti i loro sforzi ad un'imitazione dei processi di scrittura manuale e alla produzione di un elaborato su carta; di come i giochi di maschera e di passing che si praticano sulla rete (cambio di identità, di sesso, di nomi) hanno un precedente nella pseudonimia tipica del lettore, nel suo migrare da un personaggio all'altro e da un testo all'altro, nella sua pratica di bracconaggio; di come, infine, l'oggetto di comunicazione più futuribile e spericolato che le tecnologie abbiano saputo proporci abbia la forma familiare di un parallelepipedo piatto, tascabile, che si sfoglierà e si leggerà come un libro anche se conterrà tutti i testi del mondo. Insomma, potrebbe essere la lettura a vampirizzare il computer e non viceversa.

Cari lettori, perché non avete un po' di umana pietà per questi cervelli binari?

NOTE. Stante il carattere di questa comunicazione, puramente introduttiva ed evocativa, non mi pare necessario affollarla di citazioni e di rinvii a testi, anche se effettivamente molte espressioni usate sono in alcuni casi dei calchi e quindi degli omaggi a degli autori. Per non essere sospettato di plagio alla chetichella, chiarirò almeno che i frutti puri impazziscono è il titolo di un libro di James Clifford (Torino, 1993); che gli ipocriti lettori sono ovviamente quelli di Charles Baudelaire; che il ben letto, vecchia talpa è un inciso deformante e riconoscente verso chi ha cambiato il mondo leggendolo; che il libro di piccolo formato è quello di Edmond Jabès, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato (Milano, 1991); che la comunità inconfessabile è quella di Maurice Blanchot (Milano, 1984); che gli altri riferimenti, alcuni del tutto impliciti, a una comunità senza comunità sono prelievi indolori da testi di Jean-Luc Nancy, Georges Bataille, Maurice Blanchot e Giorgio Agamben. Quanto al passing è stato ampiamente trattato da Anna Camaiti Hostert (Roma, 1996) e il bracconaggio del lettore è una suggestione da Michel de Certeau ("L'immagine riflessa", IX, 1986, p. 101-116). Sul "sillogismo di Omar" si legga Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, Palermo, 1986.


    Biblioteca Civica Cologno Monzese

pagina a cura di Luca Ferrieri     
redatta il 02/01/1998

 ultima revisione
09/09/2002

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