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CI RISIAMO CON IL CANONE
di Carlos Lapeña Morón
Sono trascorsi quasi tre anni dall'inizio delle mobilitazioni contro l'applicazione della Direttiva 92/100/CE che regola il prestito pubblico. Durante tutto questo tempo si sono succedute molte e varie manifestazioni di ogni sorta, a favore e contro, per iscritto, attraverso incontri, con raccolta di firme a conclusione di conferenze, con fotografie, in catene...Tra le varie iniziative va messo in evidenza l'ammirevole lavoro della Piattaforma contro il prestito a pagamento nelle biblioteche ed il lavoro che la rivista EDUCACIÓN Y BIBLIOTECA ha svolto in maniera continuativa. Entrambi sono chiari esempi della posizione che le biblioteche pubbliche difendono.
Anche dal punto di vista degli autori ed a favore del canone si sono realizzate manifestazioni, soprattutto nell'ambito delle entità di gestione dei diritti, delle associazioni di autori ed in atti riguardanti la lettura e la scrittura.
Nonostante fin da subito sia stato espresso chiaramente che nessuno va contro nessuno, il dibattito si è polarizzo in due correnti, due atteggiamenti che, a mio giudizio, finiscono per difendere posizioni contrapposte e vincolate alla situazione di precarietà vissuta dai due protagonisti di questa storia nel nostro paese: gli autori e le biblioteche. Così, se da un lato si colloca la già menzionata Piattaforma contro il prestito a pagamento nelle biblioteche, che difende il prestito gratuito e critica il danno che il canone arrecherà alle biblioteche pubbliche, dall'altro lato troviamo le entità di gestione dei diritti, come CEDRO (Centro Español de Derechos Reprográficos), e le associazioni di scrittori, come la ACE (Asociación Colegial de Escritores de España), che scommettono sull'applicazione della Direttiva come veicolo attraverso cui gli scrittori riscuoteranno diritti d'autore per il prestito delle loro opere.
A questo punto devo fare un inciso per menzionare che io sono un bibliotecario ed uno scrittore associato alle due entità menzionate. Come bibliotecario, sono totalmente d'accordo con le mie colleghe (permettetemi di usare il femminile come termine non marcato); come scrittore, dovrei essere totalmente d'accordo con la posizione degli "enti" e soffrire un serio trauma per il conflitto di interessi tra i due ego. Eppure qualcosa non va. Non soffro nessun tipo di conflitto di interessi tra il mio io bibliotecario ed il mio io scrittore, assolutamente, come non vi è conflitto tra il mio io scrittore, desideroso di vendere i propri libri, e il mio io lettore, che prova soddisfazione nel comprarli. Si tratta di altro. Vediamo se sono in grado di spiegarlo.
In nessun caso posso intendere le due posizioni come contrarie, tanto contrarie da supporre un confronto apparentemente inconciliabile, come se difendere il canone implichi creare un fastidio alle biblioteche, o come se attaccarlo supponga disprezzo verso gli autori. Mi sembra che non sia così. Credo che, in realtà, scommettano sulla stessa questione, ma da differenti punti di vista. Le entità chiedono denaro per i loro associati; le biblioteche offro agli autori un pagamento in natura.
È ovvio che tanto le biblioteche pubbliche quanto le entità necessitano degli scrittori per offrire qualcosa ed entrambe necessitano dei lettori per ricevere qualcosa. Quello che non mi risulta per niente ovvio è che si debba incrementare il riconoscimento dei diritti d'autore con un canone sul prestito pubblico delle sue opere. Trovo che - e parlo da scrittore, bibliotecario e lettore - siano già sufficientemente riconosciuti.
È semplice: io scrivo un libro e, da un lato, mi associo ad un'entità per usufruire di una determinata consulenza e protezione, dall'altro lato, il mio libro viene letto da quelle persone che vogliono leggerlo. Io ricevo del denaro - scarso, sempre scarso - derivato dall'acquisto del mio libro e dalle copie che ne possono essere state fatte, ed inoltre il mio libro entra a far parte del fondo della biblioteca municipale del mio comune, così, rimanendo così a disposizione di chiunque lo desideri o necessiti, per tutto il tempo che dura l'accordo e la rilegatura. Però risulta che la biblioteca del mio comune ha un gruppo di lettura nel quale viene deciso di leggere il mio libro. Per il gruppo, la bibliotecaria, laureata in Biblioteconomia ed anche assunta come impiegata amministrativa, compra quindici copie, uno per ogni membro del gruppo, che cataloga, classifica e studia prima di darli agli interessati. Alla riunione del gruppo si commenterà il libro, si leggeranno alcuni paragrafi, si elaborerà, forse, un piccolo dossier con informazioni sull'autore e la sua opera, qualcuno dei partecipanti regalerà il libro a sua cugina, perché gli è piaciuto molto, e qualche d'un altro lo raccomanderà ad un amico, inoltre, con un po' di fortuna si potrà contare sulla presenza dell'autore, perché non gli costa nulla e, a volte, capita che partecipino anche gratuitamente a questo tipo di attività...
È uno dei molti casi che possono verificarsi in una qualsiasi delle biblioteche pubbliche del mio paese. È inoltre evidente che intorno al libro e allo scrittore hanno preso vita una serie di azioni e reazioni che ottengono vari e giocosi benefici. Ne enumero alcuni:
- Sono stati acquistati dei libri.
- Sono stati letti dei libri.
- Si sono appresi dati sull'autore e la sua opera.
- Si è diffuso l'autore e la sua opera.
- Si è speso tempo e lavoro (vale a dire, soldi) nella preparazione di un'attività.
- Si è contribuito affinché si possano realizzare più attività.
- Si è dimostrato al politico di turno, ancora una volta, che in biblioteca si fa qualcosa di più che distribuire tesserine agli utenti e apporre un timbro ai libri.
- Si è realizzato un lavoro basato sulla vocazione, la volontà e le buone intenzioni di una professione sottovalutata.
- Si è riconosciuto il lavoro di un artista.
- Dieci persone (undici se contiamo la bibliotecaria) si sono trasformati in artisti per diverse ore durante la lettura.
Come bibliotecario, ritengo inoppugnabile la soddisfazione per l'attività realizzata; come lettore, sono orgoglioso per avere accesso a possibilità culturali di questo tipo senza doverle pagare; come scrittore, mi considero abbondantemente pagato, non tanto per essere stato scelto quale protagonista di una sessione di un gruppo di lettura, bensì in quanto la mia opera si trova in un luogo in cui accadono simili cose. Penso: "Cielo! È proprio vero che la biblioteca del mio comune non è un semplice deposito di libri! È decisamente un centro vivo in cui i libri coesistono senza fretta ma anche senza troppa calma! Lì voglio vedere collocati i miei libri!".
Quando le entità fanno riferimento al diritto d'autore, lo fanno esclusivamente in senso economico. Lo stesso accade nei diversi paesi in cui il canone per il prestito è ormai introdotto da molti anni, paesi che, come sappiamo, posseggono indici di lettura e d'investimento nel settore bibliotecario di molto superiori a quelli spagnoli. Quest'ultimo è diventato l'argomento più popolare nella sollecitazione quanto meno di una moratoria all'applicazione della Direttiva europea nel nostro paese. Il minimo - afferma il bibliotecario -, se pretendiamo avvicinarci ad indici minimamente degni. Noi che lavoriamo in biblioteche pubbliche, e più concretamente nelle municipali, sappiamo, viviamo sulla nostra pelle, la situazione in cui si trovano. Questa conoscenza inoltre ci informa - non è nemmeno un sospetto, perché è evidente - che il canone supporrà essere una scusa perfetta per diminuire l'acquisizione di fondi e, qualcosa di ancora più sanguinoso, ritardare sine die il miglioramento delle infrastrutture e delle condizioni lavorative del personale bibliotecario. Non c'è stato bisogno del canone per verificare l'esistenza di questo problema nella biblioteca municipale della Comunità di Madrid, dove una combinazione di interessi politici di partito con la connivenza istituzionale ha impedito lo svolgimento dei convegni organizzati durante la seconda delle giornate bibliotecarie, celebratasi proprio lì nel 2000 presso il Circolo delle Belle Arti di Madrid, in riferimento alla qualificazione e all'omologazione del personale bibliotecario.
Ma non è una scusa - parla lo scrittore - ; la situazione bibliotecaria spagnola non ha niente a che vedere con l'essenza del problema. Essenzialmente, è ovvio che il lavoro dell'autore, come qualsiasi altro, deve essere retribuito indiscutibilmente in maniera degna e rigorosa, è talmente mal riconosciuto quanto scarsamente remunerato ed è necessario aumentare entrambi gli aspetti per elevare il livello di dignità tanto personale quanto sociale. Però, altrettanto essenziale, l'autore deve ricevere controprestazioni diverse da quelle economiche, proprio perché il suo lavoro non è quello di un lavoratore qualsiasi, bensì quello di un creatore, un artista la cui opera è considerata fondamentale per lo sviluppo culturale della, quanto meno, sua società. Ovviamente, questo giustifica che si devono proteggere gelosamente i suoi diritti, ma senza dimenticare che a questa protezione partecipano fattori non monetari, fattori "in natura" potremmo definirli, che comprendono aspetti tali quali, per dare un ulteriore esempio, mantenere presente la sua opera nelle librerie per un periodo di tempo adeguato.
Come autori dovremmo guadagnare sulla lettura dei nostri libri? Ovvio - continua a sostenere lo scrittore -, e molto più di quanto guadagniamo, e molto più di quanto guadagnino altri artisti, sicuramente, fosse solo per mantenere la distanza culturale che esiste tra un Cervantes e un Charanga del Tío Honororio.
Ma se esiste un guadagno che andrebbe escluso dalla riscossione è proprio quello che deriva dalla lettura dei nostri libri, o più esattamente, dalla lettura "promossa" dei nostri libri. È una contraddizione? Non credo. Prestare un libro, in forma personale o istituzionale, non mi sembra che minacci alcun tipo di diritto degli autori, quanto meno non qui e adesso; si tratta, ripeto, di promozione del suddetto libro, di divulgazione ed esposizione al pubblico, per un tempo ed in uno spazio che persino ad uno spazio delle novità e dei più venduti apparirebbero di dimensioni sconosciute, significa mantenerlo vivo e accessibile ai margini delle esigenze di mercato, valorizzando e riconoscendo il lavoro di un artista come in pochi altri ambiti accade.
Nel numero 43 del Bollettino Informativo di CEDRO, è apparso un articolo dello scrittore Javier Marín Ceballos dallo sfortunato titolo "Guerra civile del libro", nel quale, tra le altre cose, veniva attribuita alle biblioteche pubbliche l'assurda intenzione di "evitare in tutti i modi che gli autori potessero ottenere alcun tipo di entrata dal prestito delle loro opere". L'affermazione mi ha suggerito alcuni quesiti che ho avuto modo di esporre in un mail che ho inviato al sopra citato bollettino e che oggi, trascorsi due anni, continuano ad apparirmi evidenti. Come ho già detto, alle biblioteche non importa niente che l'autore guadagni o non guadagni. Mi spiego. Non è affar loro, delle biblioteche, giacché le biblioteche difendono semplicemente il prestito gratuito, le smuove l'idea di gratuità, essenziale, inerente all'idea stessa di biblioteca pubblica. Non devono interessarsi all'autore da questo punto di vista, come non le importa la percentuale che l'autore riceve per ogni libro venduto o se riceve anticipi o se ha diritto a bonifici sulle riedizioni. Quello che interessa alle biblioteche pubbliche è che non gravi su di esse una spesa che va contro la loro stessa essenza e che nuocerà ulteriormente la già precaria situazione in cui si trovano, indipendentemente da chi si faccia carico del pagamento, perché sappiamo che statali, autonomi o locali, i presupposti bibliotecari cresceranno con difficoltà e continueremo privi di una politica bibliotecaria articolata tra le istituzioni che includa in maniera definitiva lavoratori, infrastrutture e fondi. Quello che le biblioteche tentano è di poter continuare con la facilitazione della lettura per tutti, senza dover dipendere dal denaro a disposizione; quello che tentano è continuare ad essere centri di democratizzazione culturale, ai margini delle leggi e della fretta del mercato.
Le biblioteche non pretendono che gli autori non guadagnino, vogliono crescere, migliorare le loro risorse e servizi, vogliono lavorare in condizioni, continuare ad essere centri di accesso all'informazione e alla cultura, non semplici depositi di libri ne, ancor meno, grosse sale studio senza padroni. Le biblioteche comprano i libri, organizzano le attività con i libri, espongono i libri, salvaguardano i libri, ripropongono i libri, ripongono i libri, vivono di e per i libri...Gli autori? Gli autori facciamo quello che dobbiamo fare, scrivere, implorare gli editori, vivere di altre cose e appoggiare le biblioteche pubbliche. Credo che ci siano altri fronti da cui combattere per l'aumento delle entrate.
Tale è la mia opinione e credo che anche gli oltre quattrocento scrittori che hanno firmato il manifesto contro il canone avranno opinioni simili. Al contrario, non mi risulta per niente chiara l'opinione degli altri mille scrittori. Esclusa qualche dichiarazione isolata sulla dignità del lavoro dello scrittore e l'eterna lite per ricevere un pagamento maggiore e più adeguato al lavoro che svolge, non ho saputo di nessun documento che punti sull'improrogabile applicazione della Direttiva, come hanno fatto a suo tempo molti scrittori francesi. Forse gli stessi scrittori sono vittime del "politicamente corretto" regnante, e preferiscono "lasciar fare e lasciar passare" per non dover incomodare nessuno.
Infine, tanto meno è stato necessario per le entità, consultare tutti gli associati circa la questione, cosa che avrebbero dovuto fare immediatamente dopo essere venuti a conoscenza della notifica della Commissione Europea; è chiaro che, probabilmente, da parte loro si è supposto che l'immensa maggioranza degli associati fosse d'accordo con la Direttiva.
Nella mia posizione di bibliotecario e scrittore (di parca e ricercata bibliografia, questo è certo), ho considerato necessario manifestare pubblicamente la mia personale opinione su questo tema e non sarebbe male che altri autori più influenti, prestigiosi e titolati esprimessero le loro idee a riguardo.
In qualsiasi caso, continueremo a sostenere il prestito libero da imposte, finché la situazione bibliotecaria spagnola non sarà quella che meritiamo e anche dopo.
[tratto da "Educación y biblioteca", n. 156, noviembre-diciembre 2006. Traduzione di Valeria Rampulla]
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